Curzio Malaparte
«Un parlatore squisito e un grande ascoltatore pieno di tatto ed educazione»
(Eugenio Montale a proposito di Curzio Malaparte)
I Malaparte e i Bonaparte. Da un pamphlet letterario Kurt Erich Suckert scelse lo pseudonimo di Curzio Malaparte e mai pseudonimo fu più appropriato.
Curzio Malaparte cambiò “parte” frequentemente, tanto da essere considerato da molti un voltagabbana a causa delle diverse scelte ideologiche che intraprese. Dal repubblicanesimo al fascismo, dall’antifascismo al comunismo e in ultimo alla conversione verso il cattolicesimo.
Personaggio complesso, come solo l’intelligenza può essere. Incoerente, stravagante ma allo stesso tempo dotato di una gran logica e una grande passione. Uomo di gran gusto, dai gesti paradossali e bizzarri come sono tutti i “maledetti toscani”. Uno degli scrittori italiani più indipendenti del XX secolo, «la più bella penna del fascismo» lo definì Piero Gobetti.
Biografia
Nascita
Malaparte, di padre tedesco e madre italiana, nacque a Prato il 9 Giugno 1898.
Legione garibaldina
All’età di sedici anni si arruolò nella legione garibaldina per combattere in Francia fino al 1915 quando, entrata l’Italia in guerra contro l’Austria, si trasferì nell’esercito italiano. Dopo aver aderito al partito fascista e aver partecipato alla Marcia su Roma, aver amministrato case editrici come quella de «La Voce», Malaparte si staccò dal fascismo, non intravedendovi più quella speranza di rivoluzione sociale che lo aveva portato a seguirne gli ideali.
La rivolta dei santi maledetti
Nel 1933 venne allontanato da «La Stampa» di Torino proprio a causa del carattere individualista che emergeva dai suoi scritti. Sono gli anni infatti in cui pubblica La rivolta dei santi maledetti (1921), un romanzo confessione sulla guerra che vede nella Roma corrotta il principale nemico da combattere. E sono anche gli anni in cui ne Tecnica del colpo di stato, pubblicata prima in Francia nel 1931 e solo nel 1948 in Italia, Malaparte attacca profondamente sia Hitler che Mussolini, attacchi che gli valsero cinque anni di confino sull’isola di Lipari. Tecnica del colpo di stato venne considerata, sia dalla sinistra che dalla destra, come un invito a una conquista violenta del potere attraverso il rovesciamento dello Stato, mentre Malaparte nella prefazione all’edizione italiana, sosteneva al contrario che fosse negli intenti un’ analisi tecnica per la difesa dello Stato.
Inviato del Corriere della Sera
Su intervento di Galeazzo Ciano, Malaparte potè ritornare alla scrittura lavorando come inviato del «Corriere della Sera». Aldo Borrelli, direttore del giornale aveva allora due straordinari corrispondenti di guerra, Dino Buzzati e Curzio Malaparte.
Giornalista e scrittore dunque, Malaparte fu da sempre un uomo profondamente libero. Una libertà di pensiero e di espressione necessaria alla scrittura, una libertà che avrebbe permesso di arrivare alla verità. Che fosse quella della letteratura o della cronaca. Cita così la prefazione dello stesso scrittore a Kaputt: «Speriamo ora che i tempi siano nuovi realmente e non siano avari di rispetto e di libertà agli scrittori: poiché la letteratura italiana ha bisogno di rispetto non meno che di libertà…» … «mi si consenta di ricordare che io appartengo al numero di coloro, che hanno pagato con la prigione e con la deportazione nell’isola di Lipari la loro libertà di spirito il loro contributo alla causa della libertà».
Esperienza di corrispondente di guerra
Kaputt (1944) e La Pelle (1949) sono i romanzi che Malaparte scrisse in seguito alla sua esperienza di corrispondente di guerra sul fronte francese, finlandese e russo durante la Seconda Guerra Mondiale. Altre corrispondenze dalla Francia e dalla Russia sono raccolte in opere quali Il sole è cieco (1947) e Il Volga nasce in Europa (1943). Malaparte, la furia italiana del dopoguerra, uno stile dannunziano e proustiano, mantenne di questi ultimi scrittori le immagini barocche e lo stile sontuoso, per denunciare, scandalizzare, provocare, diventare la coscienza politica dei popoli vinti.
Diari giornalistici che conservano l’iconicità e la visionarietà del romanzo, romanzi “veristi” che mostrano mondi di degradazione e di miseria. Atrocità da resoconti-reportage con uno stile decadente ed espressionista che gli permettono di creare quel meraviglioso orrore che contraddistingue le sue opere.
Ne La pelle leggiamo infatti: «Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle. Tutto il resto non conta».
Malaparte venne a sapere della caduta di Mussolini e del Fascismo quando ancora si trovava in Finlandia. Venne arrestato e imprigionato a Regina Coeli dove chiese la stessa cella che aveva avuto nel 1933. Non ci restò a lungo, fu presto di nuovo arruolato come ufficiale di collegamento tra l’esercito italiano e le truppe alleate.
Ultimo periodo
Ma il suo spirito inquieto non smise mai di abbandonarlo. Dopo essere stato un lungo periodo, dal 1947, a Parigi, e aver omaggiato Proust con Du côté de chez Proust (1948), nel 1957 partì alla volta della Russia di Stalin e della Cina di Mao Tse Tung. Sono gli anni della malattia polmonare che lo costrinsero a rientrare in Italia dove si spense nel 1957 alle 15.48 nella Clinica Sanatrix di Roma.
L’originalità di Malaparte è dunque quella di aver perfezionato un naturalismo alla Zola, per le descrizioni così aderenti alla realtà, a uno spiccato autobiografismo, che in qualche modo lo inserisce nella corrente di scrittori quali Proust o Céline, che seppur profondamente diversi tra loro, partivano anch’essi dall’esperienza di vita vissuta per trascenderla e trasformarla in opera d’arte.
In un commovente articolo pubblicato su «La Stampa» il 30 Dicembre 2002, Igor Man, salutando Leonardo Mondadori, ricorda attraverso l’altrettanto famosa conversione dell’editore, quella più lontana di Malaparte, che il giornalista aveva avuto modo di conoscere. Quello che emerge da questo articolo è la conferma che nonostante l’avvicinamento alla religione Malaparte aveva mantenuto l’ironia e il cinismo di sempre riuscendo a non provare alcuna vergogna per un suo nuovo desiderio di piangere e pregare. «Non fare il bischero – mi disse – ….Quando si sta bene si piange meglio. Ora che sto male, e male assai con questa tbc che mi mangia vivo, ora, credimi è più difficile». «Più difficile cosa?» dissi mortificato. «Piangere, pregare» disse. Quando Malaparte mi diceva tutto questo, non era più nella camera 34, lo avevano trasferito nella 32. “Per essere più vicino al montacarichi dei morti” diceva volgendola in burletta». Mai, Malaparte, perse il suo temperamento, mai abbandonò il suo cinismo così profondamente impastato di dolore e così ferocemente lucido.
Restano di lui, non solo le sue opere ma anche una meravigliosa villa che si era fatto costruire a Capri e che, stravagante fino all’ultimo, lasciò in eredità al governo della Repubblica Popolare Cinese.
Opere principali
Narrativa
- Avventure di un capitano di sventura, 1927
- Sodoma e Gomorra, 1931
- Fughe in prigione, 1936
- Sangue, 1937
- Donna come me, 1940
- Il Volga nasce in Europa, 1943
- Kaputt, 1944
- Don Camaleo,1946
- Il sole è cieco, 1947
- La pelle, 1949
- Storia di domani, 1949
- Maledetti toscani, 1956
- Racconti italiani, 1957
Poesia
- L’Arcitaliano, 1928,
- Il battibecco, 1949
Teatro
- Du côtè de chez Proust – Das Kapital, 1951
- Anche le donne hanno perso la guerra, 1954
Saggistica
- La rivolta dei santi maledetti, 1921·
- Le nozze degli eununchi, 1922
- L’Europa vivente, 1923·
- Intelligenza di Lenin, 1930
- Technique du coup d’état, 1931
- I custodi del disordine, 1931
- Deux chapeaux de paille d’Italie, 1948
- Due anni di battibecco, 1955
- Io, in Russia e in Cina, 1958
- Mamma marcia, 1959
- L’inglese in Paradiso, 1960
- Benedetti italiani, 1961
- Viaggio fra i terremotati, 1963
- Diario di uno straniero a Parigi, 1966